La lettera



Giuseppe, seduto sulla brandina scriveva l'ennesima lettera alla sua morosa. Era in un campo di prigionia inglese in India, catturato durante la ritirata dell'esercito italiano lungo la strada costiera libica dopo la disfatta di El Alamein.

Il serpentone di militari in fuga era lungo chilometri; gente con vecchi scarponi e divise che testimoniavano la lunga permanenza nel deserto senza ricambi, con poche armi e senza automezzi, questi ultimi sequestrati dalle truppe tedesche, che sperava ancora di poter essere imbarcata a Tripoli e rientrare presto in Patria.

Speranza delusa dal sopraggiungere dei militari inglesi che li avevano riportati indietro e imbarcati a Suez con destinazione India.

Giuseppe aveva conosciuto Teresa, la morosa destinataria della lettera, in una balera di Precotto, un quartiere milanese a nord della città, prima di Sesto San Giovanni. Zona di periferia, con accanto insediamenti industriali ma ancora circondato dai campi e attraversato dalla Martesana, il canale che alimentava con le acque dell'Adda i navigli.

Era una bella serata di maggio del 1940, Giovanni scorse Teresa mentre ballava un valzer, con il viso imporporato di rosso sotto la fluente chioma bruna e se n'era innamorato a prima vista. L'aveva corteggiata per qualche tempo. Teresa era stata per un poco diffidente verso quel giovanotto di campagna troppo sicuro di sé e, prima di acconsentire al fidanzamento aveva voluto confidarsi con le amiche. Alla fine aveva ceduto alle profferte amorose dello spasimante ma in forma ufficiosa, vale a dire che non aveva voluto, per il momento, presentarlo in famiglia.

Gli eventi fecero il resto: la dichiarazione dello stato di guerra di giugno e la chiamata alle armi delle classi 1921 e 1922, avevano preoccupato Giuseppe e Teresa, consigliando loro di non affrettare le nozze nell'attesa di sviluppi della situazione. Infatti, nei primi mesi del 1941, anche la classe 1923, quella di Giuseppe, venne mobilitata.

Giovanni salpò da Napoli con destinazione Tripoli per unirsi alle truppe della Brigata meccanizzata "Brescia" che il 21 giugno 1942, nell'ultima offensiva italo tedesca,  riconquistò Tobruch. Poi la disfatta di El Alamein del novembre successivo, la massacrante ritirata, la cattura da parte delle forze Alleate e la prigionia.

Seduto sulla brandina, mentre scriveva alla sua Teresa, Giuseppe ricordava tutti quegli avvenimenti mentre gli occhi si riempivano di lacrime. Aveva scritto numerose lettere, all'inizio con la difficoltà di comunicare la destinazione del campo di prigionia, dopo ottenendo sempre più rare risposte.

Era la fine del 1944 e le scarne notizie che circolavano nel campo erano frammentarie e parlavano di insistenti bombardamenti sulle principali città industriali del nord Italia. Milano non poteva che essere tra queste. E Teresa ?

Giuseppe le scriveva sulle sue condizioni di "prisoner of war", della pesante vita nel campo, dello scarso cibo somministratogli e, principalmente, della nostalgia che provava lontano da casa e senza la consolazione del suo sorriso e della sua cristallina risata. Chiedeva lumi sulla situazione in Italia e chiarimenti sulle voci angosciose che circolavano sui raid degli aerei Alleati.

Giuseppe scriveva con la speranza che, forse, a questa lettera seguisse una risposta: era la primavera del 1945.

Ma, anche questa volta, attese inutilmente.

La famiglia di Teresa risiedeva a Precotto, il padre fungeva da portinaio in un palazzo di recente costruzione su Viale Monza e la ragazza era occupata presso la Edison, un'azienda che sorgeva poco prima di Sesto San Giovanni.


Successivamente ai bombardamenti su Milano dell'autunno 1942, la famiglia si era trasferita in Brianza dove il padre aveva trovato lavoro presso un artigiano, costringendo anche Teresa a licenziarsi dalla Edison e seguirlo, con la madre, nella nuova sistemazione.

Dalla partenza di Giuseppe, Teresa aveva ricevuto alcune lettere dalla Libia alle quali aveva sollecitamente dato risposta, successivamente, a causa della cattura e della prigionia dell'amato, più nulla. L'ultima missiva era datata giugno 1942 e, molto vagamente a causa della censura militare, aveva appreso del rovescio delle forze dell'Asse. La lettera, scritta da Giuseppe durante la marcia a ritroso verso Tripoli, era stata fortuitamente consegnata ad  un militare tedesco che, su un automezzo, aveva affiancato e superato la colonna militare italiana in ritirata. Il militare l'aveva spedita.

Il trasferimento della famiglia di Teresa e, quasi contemporaneamente, l'odissea di Giuseppe tra spostamenti da un campo all'atro, dall'Africa all'India, aveva creato una barriera comunicativa tra i due fidanzati. Nei primi tempi, Teresa si recava spesso presso la vecchia abitazione nella speranza che fosse giacente, presso i nuovi portinai, qualche missiva a lei indirizzata; successivamente aveva cercato notizie presso la Prefettura di Milano ma, a causa del caos determinato dalla guerra e dai bombardamenti sempre più frequenti sulla città lombarda, non aveva ottenuto che vaghe informazioni.

Prigioniero o disperso ?

Teresa. in cuor suo, sperava nella prima ipotesi ma, nel tempo, e nonostante l'avvicinarsi della conclusione delle ostilità, il silenzio si faceva sempre più opprimente e angosciante.



Il 20 ottobre del 1944 un'incursione aerea a nord di Milano colpì Gorla e Precotto, un ordigno centrò il vano scale della scuola elementare "Francesco Crispi", raggiungendo il rifugio sotterraneo dell'edificio e causando la morte di 184 bambini e dell'intero corpo docente. Furono inoltre colpite alcune abitazioni tra le quali anche quella in cui la famiglia di Teresa risiedeva prima di trasferirsi in Brianza. Dell'edificio rimasero solo spezzoni di muri anneriti, il resto era un mucchio di mattoni con suppellettili  sparse ovunque.

Quando Teresa vide la scena fu presa dal terrore e considerò l'episodio un presagio sulle condizioni di Giuseppe. Era stata testimone della ferocia della guerra e delle sue conseguenze. Non tornò più in viale Monza, con la distruzione della sua vecchia casa si era distrutta anche la speranza di rivedere un giorno Giuseppe.

Durante le sue visite alla Prefettura di Milano, Teresa aveva conosciuto un impiegato, addetto alla ricezione e compilazione delle liste di caduti, dispersi o prigionieri che poi erano appese nelle varie bacheche. L'impiegato, di nome Maurizio, aveva ascoltato con attenzione le domande di Teresa e, presa in simpatia la ragazza, si era impegnato a controllare puntualmente le notizie che riceveva dalla Croce Rossa Internazionale.

Purtroppo sempre con nessun risultato.

La loro frequentazione, prima per dovere d'ufficio, era diventata successivamente maggiormente intensa e, Maurizio, non aveva nascosto la sua forte simpatia per Teresa: forse qualcosa di più di una semplice simpatia.

Con la fine delle ostilità iniziò anche il lento ritorno degl'internati civili e militari dai vari campi di detenzione e, ad ogni notizia di rientri, Maurizio controllava minutamente gli elenchi che gli venivano sottoposti e, con un misto di compatimento per Teresa e una piccola speranza in cuor suo che Teresa ormai si consolasse, l'informava recandosi, in bicicletta, nell'abitazione brianzola della ragazza.  E anche a Teresa, queste visite, tra una lacrimuccia e l'altra, una forma di affetto iniziava a consolidarsi in cuor suo nei confronti dell'amico.

Ormai poteva definirlo tale.

Tra la fine del 1946 e il 1947 iniziò il rientro dei nostri militari dai campi d'internamento indiani. Giuseppe, per una serie di vicissitudini era rimasto tra gli ultimi. Era caduto durante l'esecuzione di lavori nel campo e si era fratturato una gamba. Trasportato in ospedale aveva dovuto attendere la completa guarigione prima di esser imbarcato su un piroscafo che trasportava anche gli ultimi ufficiali del Regio Esercito, internati nel campo di Yol, nel nord dell'India ai piedi delle più alte montagne del continente. Ma non figurava nell'elenco degli ufficiali, come fosse stato un clandestino.

Il suo rientro, pertanto, non risultò sull'elenco trasmesso alle varie Prefetture e, conseguentemente, ignorato.

Giuseppe arrivò a Milano nel mese d'agosto del 1947 e, come prima cosa, dalla stazione e con mezzi di fortuna si diresse in viale Monza a Precotto; si fermò inebetito e pietrificato davanti ai resti dell'abitazione di Teresa. Chiese ad alcune persone notizie sugli abitanti della casa, ma senza risultato. I superstiti si erano trasferiti senza lasciare informazioni dettagliate. Comunque nessuno ricordava  una famiglia con una ragazza bruna e una risata cristallina.

In quegli anni le fabbriche, ancora distrutte dai bombardamenti, avevano difficoltà ad assumere personale che non fosse addetto alla ricostruzione materiale degli edifici, muratori, elettricisti, ecc., e Giuseppe non trovò altro che emigrare in Svizzera grazie alle conoscenze di un suo lontano parente. Addio Milano, addio Teresa.

Trascorsero anni, Giuseppe mise le radici a San Gallo, nelle vicinanze del lago di Costanza, dove con altri compatrioti aveva fondato un circolo di lavoratori italiani.

Nel 1990 i Soci del circolo organizzarono una rimpatriata alla quale  Giuseppe si aggregò.
Non tornava nel suo Paese d'origine dal 1947 e desiderava vedere di persona come era stata ricostruita la sua Milano.

Arrivato alla stazione Centrale, lo colse anche un'altra curiosità: visitare Precotto, ormai diventato un quartiere della metropoli lombarda. Prese la metropolitana e scese alla stazione di Precotto e si diresse, quasi meccanicamente, verso il luogo in cui sorgeva l'abitazione di Teresa, ormai ricostruita.

L'originaria costruzione in stile Liberty era stata sostituita da un edificio moderno, vetro e cemento avevano rimpiazzato i terrazzini in pietra e le finestre con le persiane ornate da rosoni.  Mentre osservava il palazzo udì una voce accanto che lo interpellava: «Mi scusi, lei é straniero ? - chiese una voce femminile -  vedo che guarda con interesse questo palazzo, cerca forse qualcuno?».

Quasi infastidito dall'inaspettata intromissione, Giuseppe si voltò ed ebbe un colpo: pur appassita negli anni, con i capelli bruni striati da fili d'argento, ma con il suo indimenticabile sorriso c'era lei, Teresa.
Una imperscrutabile combinazione di eventi li aveva condotti entrambi e contemporaneamente nello stesso luogo, nella medesima giornata e alla stessa ora

Un attimo di smarrimento per entrambi, poi un istintivo e reciproco abbraccio li avvolse.


Con gli occhi lucidi si diressero verso un bar vicino e seduti con una tazza di caffè davanti, iniziarono a raccontarsi le loro vicissitudini. Lei ormai nonna, con due nipotini, lui scapolo impenitente, vissuto nel ricordo di una ragazza bruna, arrossata dalla fatica del valzer e ancora con quel sorriso ingenuo che sfociava nella famosa  e tanto sognata "risata cristallina".

Terminati i ricordi, Giuseppe e Teresa si salutarono, con gli occhi lucidi .
Si abbracciarono ripromettendosi di rincontrarsi presto, poi ciascuno s’incamminò verso il proprio destino: Francesco in Svizzera, Teresa a casa dai nipotini che attendevano la loro nonna.

Non si rividero più.














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