Il "vecchio" e la culla



Seduto accanto al fuoco, con la pipa in bocca, il "vecchio" intratteneva i due nipotini mentre la nuora, incinta e prossima al parto, attendeva ai lavori domestici e il figlio, fuori casa, accatastava la legna preparata nel pomeriggio. Erano gli ultimi giorni di permanenza nella baita, prima che l'inverno e le possibili nevicate impedissero di soggiornarvi.

La costruzione, di proprietà della famiglia da generazioni, era originariamente una stalla con sopra il fienile.
Era utilizzata nel periodo estivo come ricovero notturno per le poche mucche e qualche capra che costituivano, unitamente al pascolo circostante, l'unica ricchezza della famiglia.

Il bisnonno, il  nonno e il padre del "vecchio" erano stati boscaioli che durante l'anno, nella buona stagione, emigravano in Savoia a tagliare tronchi racimolando, in tal modo, quanto bastava alla famiglia per superare l'inverno.

I famigliari che rimanevano in paese si occupavano delle bestie portandole al pascolo ricavando dal latte prodotto dalle mucche caciotte e formaggelle che stagionate nella piccola cantina della baita sarebbero state utilizzate nella stagione invernale. Non era molto, ma il contributo era essenziale per quei tempi grami.

La sua famiglia era composta da padre, madre, un nonno anziano rimasto vedovo, due sorelle e un fratello minore. oltre naturalmente a lui. Il compito di accudire gli animali di casa era il suo compito principale che, durante il periodo delle vacanze estive, svolgeva nella malga in montagna.

Le due sorelle si erano sposate e successivamente, dopo il conflitto mondiale si erano trasferite in Argentina, con i rispettivi mariti, in cerca di fortuna. Argentina, Paese di emigranti italiani che ospitava altri compaesani che speravano in una vita migliore di quella trascorsa tra le nostre valli.

In tempi abbastanza recenti il "vecchio", con l'aiuto del figlio falegname e il contributo di amici e conoscenti del paese, aveva ristrutturato la vecchia stalla, sostituendo il tetto in cattive condizioni, rimettendo in sesto i vecchi muri di pietra, arredando l'interno con mobili artigianali e funzionali al soggiorno nella bella stagione. Una particolare attenzione aveva dedicato al camino e alla parte superiore dell'abitazione, trasformando il fienile in due piccole camere da letto con accanto, con vista sulla vallata, un piccolo laboratorio di falegnameria; la sua passione.

Una strada sterrata, utilizzata dai mandriani che salivano ai pascoli alti con le mandrie, passava un centinaio di metri sotto casa. Quando costoro scendevano con i fuoristrada in paese per far provviste, lasciavano al "vecchio" un secchiello di latte e qualche caciotta. Accompagnate dalla quotidiana polenta, costituivano la sua alimentazione  durante la permanenza in baita. Al ritorno con i rifornimenti settimanali era tradizione fermarsi  bere un bicchiere di vino in compagnia mentre raccontavano le ultime notizie raccolte in paese.

Erano l'unica informazione che proveniva dal "mondo".

Quella sera il vecchio, come solito fare quando la famiglia del figlio saliva in baita, leggeva ai nipotini un brano de il "Cuore", il libro scritto da Edmondo De Amicis: "La piccola vedetta lombarda".

Questo libro era il regalo ricevuto dalla sua maestra di quinta elementare che lo aveva accompagnato durante i lunghi mesi di isolamento nella baita a far da guardia alla piccola mandria e che leggeva e rileggeva ad alta voce mentre le mucche brucavano lente l'erba tutt'attorno. Oltre lo scampanio del collare della Berta, la mucca più anziana, la sua voce era l'unico suono che si udiva nel silenzio totale.

Nonno, non sei mai stato di vedetta, tu? - lo interruppe un nipotino.
Si, non su un albero - rispose il nonno - ma in una trincea, in mezzo al fango e sotto acqua e neve che inzuppavano abiti e scarponi.

Il vecchio a vent'anni aveva fatto il servizio militare negli alpini della Cuneense e, quando l'Italia dichiarò guerra alla Francia, nel mese di giugno del 1940, fu inviato sul fronte alpino occidentale. Tra i commilitoni aveva molti amici del suo paese  e conoscenti dei paesi limitrofi e questa avventura, breve e quasi incruenta, non gli parve eccessivamente pericolosa.

Molto diversa, al contrario, fu quella che visse quando la sua Divisione fu inviata in Albania, nell'inverno successivo, a combattere sul fronte Greco. Partecipò alla difesa de il "Pieve" sul Faqja Gurit, nei giorni 21 e 24 dicembre 1940, quando  la divisione respinse gli attacchi dei greci, mentre era attestata a quota 1.620 e 1.655. Quella sì fu una brutta esperienza che gli procurò un principio di congelamento agli arti inferiori e che, con il ricovero in un ospedale albanese, prima, e in quello di Bari, dopo, lo mise al sicuro da maggiori rischi negli anni successivi evitandogli la Russia.

Tutti questi ricordi gli tornarono alla mente mentre rispondeva all'ingenua domanda del nipotino e per un attimo smise di leggere fingendo di premere con l'indice il tabacco nel fornello della pipa e prendendo un tizzone dal fuoco per riaccenderla.

Quando riemerse da questi ricordi, il "vecchio" si accorse che ormai era arrivato il momento di coricarsi e nonostante le proteste dei piccoli, salutandoli, salì con passo lento e faticoso, le scale per raggiungere il suo giaciglio. L'indomani, dopo la partenza dei famigliari, avrebbe dovuto tornare a trafficare con l'oggetto che in tutta segretezza stava preparando per il futuro lieto evento: una culla a dondolo.

La nuora, in giornata, aveva annunciato una notizia importante: l'ecografia fatta qualche settimana dianzi aveva diagnosticato il sesso femminile del nascituro. Per il "vecchio" era stata il più bel regalo ricevuto, dopo il libro Cuore, in vita sua.

L'ultima settimana trascorse velocemente così come veloce fu il completamento del suo capolavoro, la culla costruita con il legno di un vecchio ciliegio abbattuto la primavera precedente,  intarsiata sui lati e sul frontalino.

Il sabato mattino, in attesa della visita dei famigliari, il "vecchio" si sedette su una sedia ad ammirare il suo ultimo capolavoro. Era soddisfatto dell'esecuzione,  con movimenti lenti tolse dal sacchetto una presa di tabacco, la premette nella pipa, l'accese  aspirando una lunga boccata, e tra la nuvoletta di fumo profumato che uscì dal fornello pensò a quel batuffolo rosa che presto si sarebbe addormentato sotto il suo tenero sguardo  da nonno.

Il ciclo si era completato.

Gallicus




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